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La centralità del corpo

Il nostro corpo è anche il corpo degli altri

By Giusi Paolini, psicologa

L’incontro con Somatic Competence Yoga e la prospettiva trauma-informed rappresenta uno snodo fondamentale nel mio percorso di formazione “a ostacoli”. Come psicologa, ho ricevuto un imprinting teorico molto chiaro: la parola come strumento di cura, la talking cure come via elettiva per incontrare e mobilitare l’altro. Quanto accade nella stanza di cura è però molto lontano dal diktat universitario e dalle mie aspettative: impatto con corpi abitati da schemi relazionali arcaici, corpi che raccontano anzitutto della propria goffaggine, che parlano di inibizione o euforia, corpi iper-vigili che “dicono della loro impossibilità a parlare”. Questi corpi reattivi anticipano l’attività mentale e i livelli di coscienza che si spera di contattare nel setting clinico.

È in questo senso che il corpo ha una sua centralità e precedenza: come dar voce a quel che è segnato (nel corpo) e che è difficile riconoscere ed esprimere?

In questa direzione, mi ha soccorso una lettura psicosomatica del Trauma e dei fenomeni che osservo nella pratica clinica quotidiana. Il Trauma rompe il confine mente-corpo: non essere preparati all’esperienza disarma rispetto ad uno stimolo potenzialmente pericoloso. Ciò risulta in una difficile assimilazione dell’esperienza stessa e nell’impossibilità di organizzare gli stati di attivazione corrispondenti entro una cornice di senso. Quel che si verifica è uno scollamento tra esperienza percettiva nel corpo e rappresentazione mentale, con l’impossibilità di riconoscere e dare un nome a quanto accaduto.


Dove nasce la lettura psicosomatica del trauma?

Le frontiere della psicosomatica si sviluppano più chiaramente sul fronte del secondo dopoguerra, offrendo un esempio lampante degli effetti di un evento traumatico e lasciando in eredità un costrutto utile a costellare i fenomeni di cui sto parlando: i soldati in particolare, ma anche i civili esposti alla guerra, faticano a simbolizzare la sofferenza psichica attraverso il linguaggio e sembrano incapaci di identificare ed esprimere le emozioni. Questa condizione di analfabetismo emotivo è detta Alessitimia e interferisce con i processi di auto-regolazione e riorganizzazione degli stati emotivi, propri e dell’altro. Si pongono così degli interrogativi per la clinica:

Come fare con pazienti che non sanno dire di cosa soffrono o che non dicono a sufficienza? Come risvegliare le memorie del corpo? Come costruire un lessico emotivo e cambiare le logiche dell’incontro?

Consiglio questa lettura per una prima idea sulle modalità di approccio.

Spesso si è impreparati all’esperienza, ma una possibilità è allenare e sviluppare una competenza che fa leva sull’Ascolto di sé. Una bussola di orientamento e, solo successivamente, di intervento è proprio la Somatic Competence®, che va nella direzione di riconoscere, rappresentare e tradurre in parola gli stati corporei che caratterizzano l’esperienza. Essere preparati allora può equivalere ad essere competenti, dove la possibilità di recuperare informazioni sugli stati corporei bonifica il territorio di esplorazione e predispone corpo e mente all’ascolto e all’incontro con l’altro. Affinché si allarghi il campo dell’esperienza e della competenza è infatti necessario creare una finestra spazio-temporale di ascolto, accoglienza e implicazione, sostenuti da uno sguardo interno (ai propri stati) e uno esterno (agli stati dell’altro). Con questi presupposti, come clinici, possiamo favorire la costruzione di memorie, laddove il processo di rappresentazione risulta incompiuto e muto. Attraversare l’esperienza di formazione in compagnia del team SCY, ha reso il mio percorso a ostacoli un percorso multilivello, in cui corpo e parola si intrecciano: l’uno attesta la presenza di qualcosa, l’altra lo rivela o lo sedimenta.



Uno può credere di conoscere qualcosa, ma non conosce ancora in che modo bisogna conoscere. San Paolo, prima lettera ai Corinti 8,2

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